Madre e figlia: una storia difficile

A volte, ripensando al passato, mi pare talmente strano da non essere capitato realmente a me. I ricordi sono frammentari, come fotografie viste e riviste mille volte, ma ci sono.

Per quanto adesso la mia vita sia normale e felice, mamma e moglie amata e fortunata, so che c’è anche un’altra me, piccolina, che fa parte del mio carattere. Una me che non si è evoluta ed è rimasta così com’era, ossia piccola e fragile, bisognosa di attenzioni, di amore e soprattutto di non essere dimenticata. 
Una parte che talvolta grida perché io le renda onore, io non la cancelli, ma la tenga stretta al cuore e le voglia bene. Mi voglia bene, dovrei dire, e mi dia empatia nei momenti difficili, perché quei ricordi così strani sono proprio miei, quelle foto mi appartengono, sono io quella là dentro, non posso e non devo fingere con me stessa. 

Mamma e papà insieme nei primi ricordi. Mamma che stava male, è stata male per tanto, tanto tempo. Una brutta depressione che influì sulle loro molte difficoltà matrimoniali, o forse l’inverso. Impossibile da determinare, come la storia dell’uovo e la gallina. 
Mamma sdraiata sul letto nei miei primissimi ricordi, per lunghissime giornate, senza avere la forza o la voglia di fare alcunché. 

Ricordo come se fosse adesso l’ardente desiderio che io, bambina, provavo di vederla alzarsi, pettinarsi, mangiare, uscire fuori, fare qualsiasi genere di attività. 
Le proponevo di cucinarle qualcosa, o di pettinarla, aiutarla in qualsiasi modo, ma ogni volta il mio più vivo desiderio era frustrato e lei riusciva soltanto a continuare a piangere senza poter fare di più, né spiegarmi perché non riuscisse a godersi la sua famiglia. Questa immensa depressione si manifestò diverse volte con tentativi di suicidio, uno dei quali impresso a fuoco nella mia mente. Avevo circa 8 anni, tornai a casa dal Luna Park dove mio padre mi aveva portato e corsi in camera dalla mamma per farle vedere non so quale gioco avevo vinto. Come al solito, era sdraiata sul letto. Sembrava dormire, quindi cercai di svegliarla. “Mamma, svegliati. Mamma, svegliati”. Niente di niente. Pareva morta. “Babbo, perché la mamma non si sveglia?”. Ambulanza, sirena, mamma portata via di corsa, era in coma. L’hanno ripresa per un pelo, se solo avessimo tardato un pochino, la sua storia sarebbe finita lì. 

Le toccarono innumerevoli ricoveri, alcuni coatti. Ho ancora un suo biglietto con un Babbo Natale disegnato da lei, meravigliosamente bene, in cui diceva che doveva andare via per un po’, ma mi aveva nel cuore. Era brava a disegnare perché aveva l’animo gentile, una bella grafia e tanta dolcezza. 
Ho molti ricordi del reparto psichiatrico dell’ospedale, scene dantesche al suo interno. Per una bimba quell’ambiente è assurdo, ma io ero così felice di quei momenti in cui potevo vedere mamma nella saletta visita o in camera sua. Pareva sempre così spenta e ovattata, con quelle vestaglie addosso e spettinata. 

Io mi struggevo dal desiderio di stare con lei e dal bene che le volevo. Intorno a noi, poveri malati che urlavano, piangevano, imprecavano o guardavano fissamente. Mi parevano così strani e non capivo che cosa non andasse in loro. Che cosa a volte si rompa nella testa delle persone non l’ho capito ancora.

Il papà era sempre preso dal lavoro e dalla preoccupazione per la mamma, le terapie (elettroshock inclusi), i dottori. Ricordi tante giornate dagli zii, lontana da casa e dai miei.

La svolta quando mia mamma all’improvviso chiese a mio fratello (molto più grande di me) di aiutarla. Voleva separasi, convinta che sarebbe stata la sua salvezza. Come negare tale aiuto? Io e mamma finimmo sulle sue spalle di operaio. 
Mio padre non la prese bene e iniziò la guerra tra di loro, con noi due figli al centro, a prendere cannonate da ambo i lati. Messaggi offensivi in segreteria telefonica, tentativi d’irruzione in casa (io, mia mamma e mio fratello a sorreggere la porta dall’interno), denuncie ai carabinieri. 
Purtroppo la malattia non scomparve e negli anni della mia adolescenza diventammo io e mio fratello gli obiettivi di una depressione, nel frattempo mutata in psicosi. 

Gli occhi dolci di mamma all’improvviso si fanno sospettosi e ci scrutano come se fossimo estranei, criminali della peggior razza (sospettati persino di trafficare sostanze illecite). Tutto viene visto come falso e pericoloso, le prese di corrente contengono microspie e vengono tutte scoperchiate, le carte magnetiche strani chip e quindi vengono bruciate in un falò sul pavimento di cucina, le associazioni benefiche coprono invece iniziative schifosissime (quindi lettere e minacce scritte da lei a ciascuna di loro con impegno febbrile).

Vedere tutto questo come se fosse normale, come se fosse vero, come se fosse reale. Accade a casa tua, nella tua vita, che nel frattempo sembra il Paese delle Meraviglie di Alice. Ma non ci sono più meraviglie e non c’è più dolcezza per noi, bensì offese pesantissime, sguardi d’odio, oggetti lanciati contro e tanti momenti che mi fanno piangere ancora, non importa il tempo passato.
Persino sulle pareti di cucina lo scrive, tappezzandone ogni centimetro, che siamo serpenti. Questa è la fase della Mamma-Cattiva, quella che ami da morire e che temi come in un film horror perché può farti e dirti veramente di tutto. Mi faceva pena, avrei dato la vita x guarirla, e al tempo stesso la odiavo per quegli sguardi pieni di odio che ci rivolgeva, come se fossimo creature infami anziché i suoi figli. 

Emblematico un sogno fatto recentemente in cui c’è lei, strana, enigmatica, silenziosa, un attimo prima buona e un attimo dopo arrabbiata e cattiva senza un perché. Io ero adulta come sono adesso, eppure mi sentivo inerme, inutilmente le chiedevo spiegazioni, sapevo che era pronta a ferirmi con gesti, parole o atteggiamenti sconvenienti da matta, assurdi, facendolo apposta per umiliarmi e ferirmi, crudelmente. (Ma io ero sua figlia...) Chiedevo a mio marito di aiutarmi ma lui non poteva.
Avevo tanta paura di abbracciarla e carezzarla, ma anche tanta voglia e alla fine lo facevo lo stesso, un po' anche per dispetto perché sentivo che le dava fastidio. Io ero rigida e impaurita della sua improvvisa reazione cattiva che stava per arrivare e anche lei era rigida, ed io temevo che stesse solo aspettando il momento buono per aggredirmi, maleficamente. (Ma io ero sua figlia…)

Crebbi come la donnina forte che dovevo essere per sostenere tutti, mio fratello, mia mamma, mio babbo con cui iniziai il processo di chiarimento e riappacificazione di entrambi i figli. Poi crollai, più volte, ma mi sono sempre rialzata, anche con aiuto esterno.
Le sue ricadute si diradarono fino a scomparire qualche anno dopo. Trovò un lavoro, un nuovo compagno, scoprì il piacere di aiutare gli altri attraverso il volontariato (lei che sospettava orrori dietro le associazioni benefiche). Vide la figlia sposarsi e restare incinta. Ha visto il suo nipotino una volta attraverso l’ecografia, il giorno della morfologica e si è commossa vedendo che si strofinava gli occhietti.
Dal vivo non l’ha visto mai perché ero incinta di 6 mesi quando mio fratello mi telefonò in ufficio per dirmi che la mamma era in coma. All’improvviso, un mal di testa, aneurisma cerebrale, coma.
Andando contro ai consigli di tutti, col mio pancione sono riuscita a vederla in Terapia Intensiva. Era così diversa che sulle prime non l’ho riconosciuta. Però lei ha riconosciuto me.

Il suo medico disse che quel suono non significava niente, ma lei mugolò, pur essendo in coma, quando le dissi: “Mamma, sono qui, sono venuta a trovarti e c’è anche Panciolino” (il mio bimbo nella pancia). Unica paziente femmina nella stanza, la voce del mugolio era indubbiamente sua, nonostante il coma. Il giorno dopo se ne andò, destino maledetto, proprio quando era felice finalmente, buona gentile e affettuosa, e stava per arrivare il suo nipotino. Vita in morte e morte in vita, la carezzai con il mio bimbo che scalciava in pancia finchè non diventò fredda.
Cosa ci si fa con un passato così, ancora non lo so. Talvolta non ci credo neppure che ci sia stato. Però sicuramente mi è servito ad interrogarmi sul modo migliore di fare la mamma, non avendo esempi intorno da seguire e volendo creare un ideale di famiglia felice che ho sempre sognato.
Da qui ho preso le mosse per il mio cammino di crescita e di consapevolezza, che è ancora lungo, ma di cui amo ogni passo per ripido che sia.