Il cammino più lungo – ovvero cosa ci si può aspettare da una psicoterapia?
Nel corso della mia vita, nessun cammino è stato tanto lungo da seguire quanto quello che mi ha condotto a me stessa. Non so se sono io un’eccezione, o se altri vi siano passati. Di sicuro alcuni ne scampano, dato che per fortuna ci sono persone che hanno avuto la buona sorte di essere completamente accettate per quel che erano dai genitori fin dalla nascita, con i loro sentimenti e i loro bisogni. Queste persone vi hanno avuto accesso fin da subito, non hanno avuto il bisogno di rimuoverli [sentimenti e bisogni, n.d.t.], e non sono state obbligate ad intraprendere percorsi molto lunghi per trovare ciò che non avevano ricevuto al momento giusto. Quello che ho vissuto io è che mi è stata necessaria tutta una vita perché finalmente mi autorizzassi ad essere come sono, e a sentire ciò che la mia verità interiore mi dice in modo sempre meno criptata, senza aspettare un’autorizzazione dall’esterno, da parte di persone che simbolizzino i miei genitori.
Mi viene chiesto regolarmente cos’è per me una terapia riuscita, nonostante ne abbia già indirettamente descritto gli elementi in più libri. Ma ora, dopo questa breve introduzione, sono in grado di rispondere in modo più semplice: una terapia è riuscita nella misura in cui contribuisce ad accorciare il lungo cammino che porta a liberarsi delle vecchie strategie di adattamento, e ad imparare ad avere fiducia del proprio sentire, cosa che i nostri genitori ci hanno reso difficile e a volte impossibile. Per molti/molte questo cammino rimane sbarrato, perché l’accesso ci è stato vietato fin da subito e perché per questo motivo si è pieni di paura all’idea di intraprenderlo. Più tardi, il ruolo che era svolto dai genitori viene ripreso dagli insegnanti, dai preti, dalla società, dalla morale, così tanto bene che la paura diventa dura come cemento, e tutti sappiamo quanto sia difficile riportare il cemento allo stato liquido.
I molti metodi di auto-apprendimento della comunicazione nonviolenta, così come i consigli preziosi e avveduti di Thomas Gordon e Marshall Rosenberg, sono certo molto efficaci quando le persone che ne fanno uso abbiano avuto la possibilità durante la loro infanzia di manifestare i propri sentimenti senza essere messi in pericolo, circondati da adulti la cui capacità di vivere il più possibile vicino a sé stessi ha potuto servir loro da modello. Ma i bambini gravemente feriti nella loro identità più tardi non sapranno identificare ciò che sentono, e ciò di cui hanno davvero bisogno. Innanzi tutto dovranno farne pratica durante una terapia, viverlo, e in seguito verificarlo attraverso nuove esperienze tanto spesso quanto sarà necessario, fino ad acquisire la certezza di non sbagliarsi. Poiché questi bambini da adulti emozionalmente immaturi, o anche perturbati, hanno dovuto credere per tutto il tempo che i loro sentimenti e i loro bisogni fossero falsi. Dicono a sé stessi che se fossero stati veri, i loro genitori non avrebbero rifiutato per lo meno di stabilire una comunicazione con loro.
Credo che nessuna terapia sia in grado di soddisfare il desiderio che senza dubbio molti sentono, cioè che finalmente vengano risolti tutti i problemi con cui fino ad allora si sono dovuti scontrare. Questo però non è possibile, perché la vita ci mette di fronte, e continuerà a farlo, a problemi sempre nuovi, in grado di riattivare i vecchi ricordi di cui il corpo ha mantenuto traccia. Ma una terapia dovrebbe aprire la via che conduce ai propri sentimenti, il bambino ferito di un tempo dovrebbe essere autorizzato a parlare, e l’adulto dovrebbe imparare a comprendere il suo linguaggio e a tenerne conto. Se il terapeuta è stato un vero testimone consapevole e non un educatore, il suo paziente avrà appreso a lasciar svelare le sue emozioni, a capirne la loro intensità ed a renderli dei sentimenti coscienti, che a loro volta lasceranno nella memoria delle nuove tracce. Naturalmente l’ex-paziente, come qualsiasi altra persona, avrà bisogno di amici con i quali potrà condividere le sue preoccupazioni, i suoi problemi e i suoi dubbi, in una forma di comunicazione più matura, nella quale i rapporti di sfruttamento non giocheranno ruolo alcuno, perché le due parti avranno già preso la misura dello sfruttamento subito durante l’infanzia.
La comprensione emozionale della bambina che sono stata, e per tale via anche della sua storia, modifica il mio modo di accedere a me stessa, e mi dà sempre più forza per trattare in altro modo, più razionalmente ed efficacemente, i problemi che si pongono oggi. Non conoscere mai più sofferenze né esperienze dolorose sarebbe quasi impossibile, tutto questo esiste solo nelle favole. Tuttavia, se io non rappresento più un enigma per me stessa, posso avere una riflessione ed un’azione cosciente, posso lasciare spazio ai miei sentimenti, perché li comprendo e quindi non mi fanno più così tanta paura. In questo modo le cose possono smuoversi, e possediamo anche una sorta di strumento tra le mani che può essere utile se una depressione o dei sintomi corporei riappaiono. Allora sappiamo che ci stanno annunciando qualcosa, che forse vogliono far risalire alla superficie un sentimento represso, e possiamo cercare di lasciarlo libero di esprimersi.
Come il cammino che conduce a sé stessi continua per tutta la vita, così non si ferma con la fine di una terapia. Ma possiamo aspettarci da una terapia riuscita che aiuti a riscoprire i propri veri bisogni, a prenderli in considerazione e ad imparare a soddisfarli. È proprio quello che i bambini feriti molto presto durante le loro vite non hanno mai potuto imparare.
Dopo una terapia condotta da un terapeuta, si dovrebbe quindi essere in grado di soddisfare i propri bisogni, che apparirebbero ormai molto più nettamente e con molta più forza, in una maniera che corrisponde all’individuo in oggetto, e senza nuocere a nessuno. I resti di un’educazione ricevuta troppo presto non si lasciano sempre eliminare del tutto, ma possiamo metterli in opera in modo costruttivo, attivo e creativo se li teniamo in conto in piena coscienza, anziché subirli in modo passivo e autodistruttivo come prima.
È in questo modo che, una volta divenuto un adulto cosciente, un individuo la cui sopravvivenza sia dipesa da ciò che aveva realizzato per compiacere i suoi genitori diventa capace di smetterla di sacrificare i suoi bisogni servendo gli altri come priorità, come doveva fare quando era bambino.
Può cercare delle vie sulle quali impiegherà le sue capacità precocemente acquisite di comprendere gli altri ed aiutarli, pur senza trascurare i propri personali bisogni. È possibile ad esempio che diventi terapeuta, e che soddisfi così il suo desiderio di conoscere, ma non farà questo mestiere per provare la sua potenza, poiché non ha più bisogno di questa prova, ora che ha rivissuto la sua impotenza di bambino.