Il trauma cumulativo nell'infanzia

Non poche osservazioni cliniche e numerosi studi epidemiologici hanno evidenziato un numero sempre maggiore di persone affette da disturbi traumatici che non sembrano rispondere ai criteri diagnostici definiti dal DSM IV per il disturbo post-traumatico da stress (DPTS). In altre parole ci sono molte persone che soffrono per sintomi associati a stress che, stando al DSM IV, “non dovrebbero manco esistere”. C’è da chiedersi, allora, se i traumi non siano eventi più frequenti di quanto la classificazione psichiatrica non ritenga e di quanto noi stessi immaginiamo. E se non sia il caso di ampliare la definizione diagnostica per il disturbo da stress fino a includere il concetto di “trauma cumulativo”.

In effetti siamo abituati a pensare al trauma in termini di un evento eclatante (eventi naturali o interpersonali come terremoti, inondazioni, guerre, violenze, abusi sessuali e maltrattamenti gravi), ma piuttosto isolato e che non ha riguardato minimamente la nostra storia personale. Probabilmente il rischio di relazioni interpersonali patogene che possono scatenare i sintomi tipici del DPTS c’è, è presente, ma viene piuttosto trascurato. Queste evidenze ci autorizzano a pensare che i bambini possono subire dei traumi latenti nel corso dello sviluppo o dei microtraumi ripetuti che già Khan aveva descritto come "traumi cumulativi" dello sviluppo. In altre parole si tratta di eventi relazionali dolorosi e umilianti che di solito i genitori perpetrano dietro rispettabili apparenze come forma di una presunta quanto condivisa 'educazione' (sic!). Nemmeno gli educatori cattolici che dovrebbero essere ispirati dall'insegnamento e dalle parole del loro maestro: “lasciate che i piccoli vengano a me”, sembrano a volte farci troppo caso.

Ma siamo davvero sicuri che quelle esperienze, più o meno dolorose, siano giustificate da una presunta volontà educativa e che non si tratti piuttosto di mere misure punitive che avevano lo scopo di soddisfare i bisogni narcisistici di genitori più o meno disturbati e dissimulate dietro l’etichetta di “educative”? E come mai il quotidiano sacrificio di bambini ignari e devoti passa in silenzio e sottotraccia in questa società in cui viene tanto ostentato il rispetto e l’amore per i bambini?

Gli studi pioneristici di John Bowlby e Mary Ainsworth, proseguiti da Mary Main, nonché la posizione di 'psicoanalisti pentiti' e coraggiosi come Alice Miller hanno messo in evidenza la natura affettiva del legame primario madre/bambino, rigettando il punto di vista della psicoanalisi 'classica' del 'bambino pulsionale' latore di istanze aggressive libidiche. Purtroppo la mancata sintonia tra i comportamenti materni e le richieste di affetto e conforto del piccolo può provocare dei 'microtraumi ripetuti nel tempo' che, cumulandosi, si configurano, da adulti, come sequele di un disturbo traumatico dello sviluppo (DTS). In effetti numerosi studi hanno dimostrato che il trauma evolutivo è tutt’ora presente ma non riconosciuto. Si tratta di un'autentica epidemia nascosta e, se è così, vien da chiedersi perché debba continuare a essere occultato. La natura traumatica di tali relazioni è dovuta al fatto che il bambino, completamente dipendente dai suoi genitori, vivrà i loro (mal)trattamenti nel segno di quell'impotenza dolorosa, che è la caratteristica distintiva di ogni trauma che si rispetti. C’è stato chi ha definito l'esperienza traumatica come “il dolore degli impotenti” (Judith Lewis Herman, Trauma and recovery. The aftermath of violence, New York, Basic Book 1992 - in italiano Guarire dal trauma. Affrontare le conseguenze della violenza, dall'abuso domestico al terrorismo, Roma, Magi 2007).

Insomma il bambino riceve da persone dalle quali si aspetta sostegno e protezione danni fisici e psichici che possono sfociare in disturbi psicopatologici anche gravi da adulti. Da qui un’inquietudine fondamentale caratterizzerà il proprio vissuto. E questi traumi hanno il difetto di ripetersi nel tempo senza essere eclatanti. Per questo sono 'cumulativi'. Purtroppo se è difficile che arrivino a galla è perché noi tutti temiamo che un qualcosa del genere possa essere capitato anche a noi. Sebbene genitori empatici e sensibili, per fortuna, non manchino! Eppure i sintomi dei bambini mal-trattati, a ben guardare, rientrano nel quadro di quelli previsti dal DSM IV per il disturbo da stress post traumatico. Ciò ci autorizza a pensare che i bambini possono subire dei traumi latenti nel corso dello sviluppo che non hanno nulla di dissimile da traumi più evidenti e ‘socialmente condivisi’ (catastrofi naturali, guerre, abusi fisici e sessuali).

Possiamo fare un esempio di che cosa possa essere traumatico per un bambino nel corso delle sue relazioni precoci nel suo percorso di sviluppo. Non è infrequente che alcuni genitori picchino i propri figli o che si ‘limitino’ ad un ‘innocuo’ schiaffetto. Ancora oggi dalla maggioranza è considerato educativo ‘far capire al piccolo chi comanda’, scambiando una relazione affettiva in una relazione competitiva, nella quale il piccolo si trova coinvolto suo malgrado. A questo punto il bambino piange perché spaventato e si attiva il suo comportamento di attaccamento per ottenere protezione… DALLA MADRE, la quale è anche la fonte della sua paura e del suo spavento. Si realizza ciò che Alice Miller scriveva in uno dei suoi più celebri saggi: “il bambino più è maltrattato, più si attacca”. In una situazione del genere la figura di riferimento riassume in sé un paradosso o dilemma irrisolvibile, essendo nello stesso tempo fonte di sicurezza e protezione nonché fonte di angoscia e paura. Il bambino non può che utilizzare l’unica difesa che possiede: la dissociazione, ovvero entrare in uno ‘stato alterato della coscienza’ per ‘gestire’ uno stress e uno spavento che si rinforzano a vicenda. Gli studiosi dell’attaccamento chiamano questo stile di attaccamento Pattern ‘D’, cioè dissociato/disorganizzato di fronte alla paura che ingenera la figura materna (o chi ne fa le veci: figura di attaccamento è colei che si stabilisce come figura affettiva di riferimento che, di solito, è la madre). Ma potrebbe essere chiunque altro come il padre o altri che si ‘prendono cura’ del bambino.

Ora, un evento è traumatico quando ‘eccede’ le capacità di fronteggiamento del soggetto (dette coping), mettendo a nudo tutta la sua impotenza. Chissà come si sente un bambino in una siffatta situazione in cui “non c’è via di sbocco”, in cui non può mettere nemmeno in atto la difesa più arcaica della “fuga o del combattimento” (flight or fight)? Ad ogni modo questa iperattivazione limbica o emozionale si tradurrà in una  inquietudine di fondo, alla base delle più svariate fobie e nevrosi, caratterizzerà il vissuto del soggetto fino a quando non avrà la fortuna di incontrare un testimone consapevole o, semplicemente, una persona che, rispettata nel suo bisogno di accettazione, potrà comprendere la sua sofferenza. In caso contrario, l’infelicità, la depressione e l’ansia rovineranno l’esistenza di questa persona. Perché questa autentica ‘fabbrica dell’infelicità’ non trova alcun tipo di riconoscimento? Beh, a me pare una domanda retorica. Il trauma relazionale rimane latente affinché non turbi i sonni di una società che vive di ipocrisia e moralismi.

È ormai un’osservazione empirica condivisa che a figli infelici corrispondono genitori inadeguati e sofferenti. In una sorta di trasmissione intergenerazionale di modelli patogeni e disfunzionali che presiedono alla sofferenza relazionale. Riprendiamoci la nostra vita e il diritto alla felicità, anche se ciò può voler dire la messa in discussione delle nostre 'certezze' illusorie e la ‘caduta degli idoli’ (i propri genitori idealizzati)

Eppure se conoscessero il valore liberatorio della propria storia personale, quante persone potrebbero fare a meno di quelle inspiegabili depressioni, di quell'improvviso attacco di panico, di quelle ansie improvvise e fobie incredibili. Nonché di vari disturbi organici di origine psicosomatica che fa comodo, tanto al medico quanto al paziente, risolvere con una miriade farmaci ‘mirati’. Il fatto è che sarebbe davvero bello se potessimo risolvere, in modo radicale, la nostra personale sofferenza in questo modo così semplicistico e sbrigativo. Ma il corpo ‘testimonia’ della presenza ingombrante di un ‘qualcosa’ che non vogliamo né possiamo vedere né sapere.  Dal momento che i piccoli e grandi abusi sono da ascrivere a relazioni pregresse di “ordinaria follia”, la guarigione non può che passare attraverso la loro progressiva consapevolezza. Noi dobbiamo riprenderci il rispetto per noi stessi troppo precocemente e impunemente calpestato. Se vogliamo il meglio per i nostri figli, per il bene dell’umanità, dobbiamo dare inizio a quella che mi piace chiamare “rivoluzione bambinocentrica”, a scapito di troppo comode teorie “genetiche” dell’aggressività umana.

Dopo un percorso di graduale presa di coscienza, che implica il riesperire in modo contestualizzato le esperienze dolorose pregresse, ameremo i nostri genitori più di prima perché, privi dell'alone idealizzante, li vedremo così come sono: persone simili a noi che hanno avuto anch'essi non poche traversie durante lo sviluppo.

Il mio è un invito ad allargare il concetto di trauma a quello di trauma relazionale latente cumulativo che caratterizza le prime relazioni significative del bambino fino all’adolescenza.

Il numero delle persone traumatizzate è superiore a quelle che rispondono ai criteri diagnostici del DPTS stabiliti dal DSM IV. È ora di rivedere questi criteri includendovi anche la vittimizzazione ‘quotidiana’ dei bambini, anche se questo può costare la messa in crisi delle nostre inveterate certezze.

 

Note bibliografiche

Mary D. Ainsworth, Modelli di attaccamento e sviluppo della personalità. Scritti scelti, Raffello Cortina 2006.

John Bowlby, Attaccamento e perdita, Boringhieri 1976-1983 - 3 voll.

John Bowlby, Costruzione e rottura dei legami affettivi, Raffello Cortina 1982.

John Bowlby, Una base sicura. Applicazioni cliniche della teoria dell'attaccamento, Raffello Cortina 1989.

Judith L. Herman, Guarire dal trauma. Affrontare le conseguenze della violenza, dall'abuso domestico al terrorismo, Ma. Gi. 2005.

Giovanni Liotti, La dimensione interpersonale della coscienza, Carocci 2005.

Main Mary, L'attaccamento. Dal comportamento alla rappresentazione, Raffaello Cortina 2008.

Alice Miller, La persecuzione del bambino. Le radici della violenza, Boringhieri 2008.

Alice Miller, Il bambino inascoltato. Realtà infantile e dogma psicoanalitico, Boringhieri 2010.

Alice Miller, Il risveglio di Eva. Come superare la cecità emotiva, Raffaello Cortina 2002.

Stress traumatico. Gli effetti sulla mente, sul corpo e sulla società delle esperienze intollerabili, a cura di Bessel A. van der Kolk, Alexander C. McFarlane, Lars Weisaeth, Ma. Gi. 2005.

Manuale dell’attaccamento. Teoria, ricerca e applicazioni cliniche, a cura di Jude Cassidy e Phillip R. Shaver, Giovanni Fioriti editore 2010.

L'impatto del trauma infantile sulla salute e sulla malattia. L'epidemia nascosta, a cura di Ruth A. Lanius, Eric Vermetten, Clare Pain, Giovanni Fioriti editore 2012.

Info
Scritto da: 
Patrizio Lampariello