Trasmissione radio con Brigitte Oriol - Cos'è un'emozione
Intervistatrice: Buongiorno
Brigitte: Buongiorno
I: La nostra ospite di oggi è Brigitte Oriol. Brigitte Oriol è una psicoterapeuta che lavora a Bagnol sur Cèze, è già venuta ai nostri microfoni a parlare della violenza nell'educazione ed oggi ci parlerà dell'emozione. Cos'è un'emozione. Sembra una cosa evidente, ma bisogna riflettere su questo argomento.
B: Si. Un'emozione è... un'emozione, nel senso proprio del termine, è un movimento. Un movimento che si deve esprimere all'esterno. E' un'emozione. Allora evidentemente un'emozione è spesso portata all'esterno, è sempre comunque espressa attraverso un bisogno. Se, quando sono un neonato, ho bisogno di mangiare, piangerò perché non so parlare una lingua, userò quindi l'unico linguaggio che possiedo, il pianto, per manifestare il mio bisogno della fame e per potermi sfamare.
I: E lì l'emozione dov'è? L'emozione è in un bisogno. E' perché ho voglia di mangiare che sono emozionato?
B: Per un neonato, un neonato che ha fame, .... se sta già piangendo è già in una situazione in cui sta reclamando davvero il suo bisogno di mangiare, e se non ci si presenta molto velocemente, allora là il bambino può temere di non avere da mangiare, può avere paura, può anche sfociare nella rabbia. Se mia mamma non arriva, posso arrabbiarmi di non poter avere ciò che voglio abbastanza rapidamente come vorrei. E se la mamma insiste ancora a non venire subito - sa, ci sono dei genitori che dicono: no, aspetta, non è ancora l'ora, deve pazientare - e lasciano piangere il neonato, ecco. Ed è terribile fare questo a un neonato, perché entrano in seguito in un processo emozionale di terrore. Perché diventano la preda di ogni pericolo. L'unico bisogno di un bambino è la vicinanza del genitore. E se questa non c'è, si sentono preda di qualsiasi pericolo.
I: La parola "emozione", io credo che intendiamo o ci immaginiamo che sia... ciò che ci succede dentro... quando siamo felici, tristi, o abbiamo paura. E lei prima ci ha subito detto che si tratta di un movimento. Questo significa che quello che sentiamo dentro di noi si manifesterà all'esterno.
B: Allora: deve manifestarsi all'esterno, significa che quando un bambino è frustrato, mostrerà in quel momento la sua frustrazione attraverso un'emozione. In generale è la collera.
I: Capisco.
B: Prendiamo l'esempio di un bambino piccolo a cui per esempio non vogliamo comprare qualcosa, si sentirà frustrato e in questa frustrazione arriverà la collera perché il suo bisogno di avere questo giocattolo non viene soddisfatta.
I: D'accordo. Quindi l'emozione sarà la collera e noi capiremo subito che si tratta della collera.
B: Ecco. Il problema della maggior parte dei genitori è che ignorano che cos'è un'emozione. E interpretano questa cosa come qualcosa di molto pericoloso. Qualcosa che devono far tacere immediatamente. E qui si trova il pericolo per il bambino.
I: Cerco di capire bene cosa lei ci dice: significa che forse quando prendiamo l'esempio del bambino a cui rifiutiamo di acquistare un oggetto, e che manifesterà la collera, noi vedremo la sua collera, che è violenza ed è pericolosa per noi. Non ci chiediamo da dove viene la collera. E' giusto?
B: Allora, da una parte è così, dall'altra parte lei ha appena detto "vediamo la collera dunque la sua violenza". Ma la collera non è violenza. Un bambino che esprime la collera, certamente, può essere molto d'effetto: può dare dei calci, può piangere, gridare, può anche dire: "mamma ti odio", "non ti voglio più bene"... è possibile. Tutto è possibile. E' solo un bambino, il suo cervello non è ancora completamente strutturato, la sua reazione può essere del tutto sproporzionata. Ma i genitori questa cosa non l'accettano. Vogliono farlo tacere. Ma visto che un'emozione è fisiologica, è un movimento che si deve esprimere, il fatto di volerlo mettere a tacere o di condannarlo, è qui il problema. Perché sappiamo di ferire un bambino, ma non è questa la cosa grave, perché è impossibile non ferire un bambino durante la sua vita di bambino. E' impossibile. Anche il solo fatto di fare un secondo figlio può ferirlo. Fargli un fratellino o una sorellina lo può ferire. Quindi è impossibile non ferire un bambino. La cosa più grave non è la ferita in sé stessa, ma il fatto che il bambino non possa esprimere, non possa difendersi da questa ferita. E questa è la trappola per ogni genitore, perché il genitore vuole far tacere il bambino proprio in quel momento e il fatto di farlo tacere vuol dire rimuovere. Non c'è altra scelta che quella di rimuovere questa emozione. E questa rimozione si incancrenisce, poi più tardi [il bambino] si vendicherà sui più deboli, o avrà dei disturbi dell'alimentazione, disturbi del comportamento, cadrà nella tossicodipendenza, nell'alcool. E' l'accumulo della rimozione delle sue emozioni che farà sì che più tardi soffrirà di questa rimozione.
I: E reagirà in un modo, come lei ha detto prima, sproporzionato.
B: Esatto.
I: Credo allora di aver capito quello che ci ha appena detto: è inevitabile ferire i nostri figli.
B: Si.
I: Perché la vita... l'educazione che siamo costretti ad impartire loro li ferirà, lei ha detto anche a volte un'altra nascita in famiglia non viene vissuta come una gioia ma sarà una ferita.
B: Si.
I: Ma lei ci ha detto anche che non è questo ad essere grave, non possiamo fare altrimenti. E il bambino non vorrà esprimere questa sofferenza. C'è da parte dei genitori una presa di coscienza per vedere?
B: Si, certo, perché i genitori ignorano. Possiamo dire quindi che i genitori ignorano totalmente che l'educazione che possono dare provoca questo genere di danno. Ecco perché sono qui un'altra volta, per svegliare queste coscienze, e allora vorrei quantomeno ribadire una cosa, perché gli ascoltatori rischiano di dire: allora, bisogna lasciarli fare.
I: Oh no, non credo che lei voglia dire questo.
B: So che si può arrivare a questo. Ma lasciar esprimere un'emozione non vuol dire lasciar fare tutto [al bambino]. Ma sono ben lontana da questo, non è di questo che si tratta. Ma se ascoltiamo un bambino in collera che manifesta il suo scontento - durerà in tutto cinque, dieci minuti, non di più - al contrario, se l'obblighiamo a tacere dicendogli [con voce alterata]: "ne ho abbastanza dei tuoi capricci, te ne ho già comprato uno ieri, non ricominciare oggi, diventi così, colà..." in quel momento il bambino è costretto a reprimere ciò che sente, perché in quel momento è vero che vuole quell'oggetto e in quel momento detesta il genitore che non gliel'ha dato. E più rimuoverà tutte queste sue emozioni, più quello che succederà è che, a causa dell'autorità del genitore che in quel momento vuole farlo tacere, il bambino temerà il genitore. E quando si comincia a temere il proprio genitore, allora là si va alla deriva. Perché si diviene in un controllo permanente della prossima sanzione, della prossima ferita, e di non potersene mai difendere.
I: In effetti bisognerebbe cercare di capire l'origine delle emozioni dei nostri figli, l'origine della loro collera, e poi lasciargliela esprimere? Sapendo che in quel momento possiamo anche dire: "puoi essere arrabbiato perché non ti ho comprato quell'oggetto, ma io non te lo compro comunque". "Non mi farai cambiare idea".
B: Esattamente. E' il modo di dirlo certo. Solo il fatto di capire la sua collera. Dire (con voce molto empatica): "si è vero. So che tu vorresti veramente quel giocattolo. E' molto importante per te, ma non posso comprartelo. Non voglio comprartelo". Ma non rientrerò ancora in un discorso moralistico oppure (con voce dura e irritata): "ascolta, è così, non te lo compro", perché così non si è empatici. Bisogna veramente capire che il bambino soffre di non poter possedere. Sa, tutti i bambini quando vogliono un oggetto per loro è già acquisito. E' la continuazione di quello che sono loro, gli oggetti. Il piccolo camion rosso nella vetrina è lì, ci vuole giocare, è già suo. Quindi capire questo, e anche capire che un'emozione è molto importante, è vitale. Quando questo movimento emozionale si può compiere, allora il nostro corpo non è imbrogliato, come dire: non è rinchiuso in tutto ciò che si deve rimuovere. Si è liberi, si può essere liberi più tardi per l'apprendimento scolastico, potremo mettere tutta la nostra capacità in seguito al servizio della vita e non al servizio del controllo delle nostre emozioni.
I: Si, perché bisogna capire allora che un'emozione è qualcosa che si esprime quasi fisicamente attraverso il nostro corpo.
B: E' fisiologico. L'espressione di un'emozione è anche l'espressione della nostra salute. Più reprimiamo le emozioni, più corriamo dei rischi di ammalarci più tardi.
I: Allora, ascoltiamo le emozioni dei nostri figli.
B: Si.
I: Riconosciamo la loro legittimità.
B: Si. E' vero quando si dice che un'emozione non è pericolosa. Che lasciargliela esprimere non vuol dire fare di lui un futuro delinquente, ma è il contrario. Ciò che crea dei delinquenti è proprio quella rimozione.
I: Dunque guardiamo i nostri figli, cercando ci capire le loro emozioni non significa per forza farci cambiare idea, resta il genitore a dire cosa si deve fare, ma abbiamo ascoltato qualcosa e abbiamo evitato delle ferite al bambino.
B: Si, è importante che i genitori siano informati di questo.
I: Grazie a Brigitte Oriol di essere stata con noi.
B: Arrivederci.