Accettare l’invito al gioco di nostro figlio

Così come la nostra identità è attorniata da ferite emotive, possiamo anche portare in noi delle ferite che assediano la libertà e la vitalità del gioco. Non si tratta necessariamente del fatto di essere stati feriti nel corso dei nostri giochi infantili, ma del fatto che noi, nell’età adulta, siamo venuti associando quei giochi con le ripulse precoci, la solitudine, e la paura di indegnità che ne è derivata, la perdita dell’amore e del senso di appartenenza.

In qualità di genitori, ci può succedere di erigere muri tutto intorno al gioco; di porvi limiti e freni; provare emozioni negative quando nostro figlio ci chiede «gioca con me, Mamma!»

Che cosa sta dietro i nostri sentimenti e le nostre reazioni? Che sia possibile che noi abbiamo… paura di giocare?

Se analizziamo quest’ipotesi per un momento, possiamo scoprire qualcosa di molto commovente riguardo ai nostri bisogni insoddisfatti. Possiamo stabilire se la nostra reazione al gioco trae origine in qualcosa di doloroso prestando attenzione a come reagiamo al gioco. Questa reazione si comunica nelle nostre parole:

  • «Ancora un giro e basta»
  • «O ti calmi o la smettiamo»
  • «Ora non abbiamo tempo»
  • «Ma abbiamo già fatto questo gioco per cinque volte…»
  • «Sono troppo stanca per giocare adesso».


… e nei nostri corpi. In che modo la richiesta di nostro figlio di un altro giro col trenino va a toccare il nostro sistema interiore? Cominciamo a sentire tensione nel petto? Cominciamo a sentire un vuoto nello stomaco mentre ci aspettiamo la sua reazione catastrofica quando alla fine decidiamo che è il momento di smetterla? Ci ritroviamo mentalmente confusi? O ci sentiamo spinti a metterci al telefono, o a cercare una tranquilla via di fuga – tipo sederci sulla sedia del corridoio posta accanto alla porta d’uscita?

Alcune domande su cui riflettere:

  1. Riusciamo a definire che cos’è che sentiamo che stiamo cercando di fuggire?
  2. Come sono state le nostre esperienze di gioco durante la nostra infanzia? Come rispondevano alla nostra spontaneità infantile i nostri genitori o chi si occupava di noi? Giocavamo da soli? Giocare era un’esperienza positiva? Giocare era un’occupazione che ci veniva proposta nelle occasioni in cui gli adulti erano preoccupati e indaffarati o era soggetto a restrizioni, vietato in caso di castigo?
  3. Che cosa associamo al gioco in età adulta?
  4. Quali delle risposte seguenti vi si adatta di più quando provate l’«ansia del gioco» di fronte alle richieste di vostro figlio o alla percezione del bisogno di ulteriore tempo dedicato a giocare (con voi)? a) angoscia dovuta a un sentimento di disinteresse e «noia»; b) paura che i vostri bisogni non vengano soddisfatti; c) paura della rabbia di vostro figlio se ponete un limite di tempo o di modalità di gioco; d) paura di essere esauriti dai bisogni di vostro figlio o di sentirvi vulnerabili.


Ci sorprenderebbe capire che nessuna di queste paure e angosce ha realmente a che fare con nostro figlio? E che la nostra ansia rispetto al gioco è un segno dei nostri traumi che riguardano l’energia vitale, l’essere in connessione, la fiducia e la felicità?


Ripensare le richieste come inviti
Vorrei invitarvi a pensare che l’apparentemente «irragionevole» richiesta o pretesa di vostro figlio perché giochiate con lui è un segnale dello squilibrio nel rapporto che richiede di essere riequilibrato. Andiamo tutti fuori fase, sia intimamente che, di conseguenza, nei rapporti con gli altri. I nostri piccoli innocenti sono saggi con le loro antenne emotive per ciò che sembra «non funzionare» in loro e nei loro genitori. Quando un bambino insiste in modo rabbioso o esasperato per giocare, si tratta di un impellente, confuso segnale così come il pianto incalzante di un neonato è il segno di «qualcosa che non funziona». Certo, il bisogno di un neonato di cambiare il pannolino bagnato e un segnale chiaro e un bisogno facile da decifrare ed esaudire. È una cosa scontata. È tangibile. E impegna un paio di minuti.

E allora, che cosa c’entra il tempo col gioco? Molti genitori temono che giocare richieda tempo, che farlo usurperà il loro tempo e darà il via a uno svolgimento che troverà un esito caotico e respingente. «Se gioco con lui e lascio che ne venga coinvolto, non vorrà più smettere o lasciarmi andare».

Questo non è la realtà, ma ciò che ci immaginiamo che accadrà. E spesso inconsapevolmente lo facciamo accadere col fine di giustificare la nostra convinzione. Difendiamo le nostre paure.

Possiamo tutelare anche il nostro diritto a giocare?
Se riusciamo ad ammettere la nostra paura, l’angoscia e la rabbia riguardo al gioco, possiamo analizzarla con pazienza e curiosità. Possiamo diventare consapevoli di come queste emozioni possono sembrare un condizionamento interno per i genitori che hanno subito nella loro infanzia un controllo esterno troppo rigido da parte degli adulti che hanno messo una sordina alle loro emozioni.

Quando i nostri impulsi gioiosi e le nostre attività sono state represse o si sono imbattute in disprezzo o apprensione, noi ci siamo adeguati imparando ad arrangiarci da soli. In qualità di genitori, i nostri corpi, l’intelligenza e i ricordi inespressi fanno in modo che ci comportiamo allo stesso modo. È probabile che non siamo consapevoli del nostro barometro interiore riguardo ad attività e processi di profonda connessione… come il gioco.

Il più delle volte la «pretesa» di nostro figlio a giocare è un’esortazione a guarire. Per lui. Per noi. Per il rapporto tra noi.


Lu Hanessian è autrice dell'acclamato «Let the Baby Drive: Navigating the Road of New Motherhood» [di cui manca ancora una traduzione italiana: «Che il bambino ci sia di guida: esplorare il percorso di una nuova maternità»], premiata giornalista, già conduttrice della rete NBC, conferenziera ed educatrice nonché fondatrice di una serie di seminari per la crescita dei genitori realizzati via web e denominati «Parent 2 Parent U».

I suoi ambiti disciplinari di maggior interesse sono quelli della connessione familiare, la neurobiologia dell'attaccamento e delle relazioni, il potere del gioco e dell'impegno, il ripristino e la salvaguardia dell'autenticità in noi stessi e nei nostri figli, e i modi in cui può ricostituirsi la perduta connessione tra genitori e figli per creare resilienza e uno stato di salute ottimale.

Il suo libro di prossima pubblicazione «Return to Tender» è atteso per l'estate del 2011.
Visitate i suoi siti Let the Baby Drive e Parent2ParentU. Lu ha anche fondato WYSH: Wear Your Spirit for Humanity.

Il suo primo libro per bambini «Picnic on a Cloud» esce questa primavera, ed è la storia di ciò che accade quando la forza dell'immaginazione si unisce a quella della connessione. Per saperne di più: http://www.picniconacloud.com

Lu è mamma riconoscente di due bambini maschi di 9 e 12 anni.

Copyright 2009, Lu Hanessian. Tutti i diritti riservati.

Info
Scritto da: 
Lu Hanessian
Traduzione: 
ElisaB
Revisione: 
foglievive, FRA